Raffaella Florio

Capo Dipartimento Piani Strategici Urbani ANCI

di Roberta Balma Mion

Raffaella Florio
Raffaela Florio si occupa da sempre di pianificazione strategica. Dapprima come dottoranda presso l’Università di Barcellona, poi come  project manager e responsabile di processi di pianificazione strategica in Italia. Nel 2000 è stata coordinatrice del Piano Strategico di La Spezia e dal 2003 a Firenze ha diretto Firenze Futura (Associazione del Piano Strategico) e poi la Conferenza Metropolitana (Provincia di Firenze). Nello stesso anno ha fondato la Rete delle Città Strategiche-ReCS, associazione a cui hanno aderito circa 50 città italiane nel corso dei suoi 10 anni di vita, per promuovere lo scambio di esperienze e sostenerne pratiche e attività. Ha diretto ReCS fino al suo accorpamento in ANCI nazionale nel 2013. Da allora è in ANCI a capo del Dipartimento di “Pianificazione Strategica Urbana”, referente della “Consulta Città Medie e Pianificazione Strategica” e del “Tavolo Piani Strategici Metropolitani”. Nel corso della sua attività professionale ha pubblicato molti articoli e saggi sul tema, svolto attività di docenza ed è stata key note speaker in eventi nazionali e internazionali.

Come Anci, lo scorso maggio avete avviato il Tavolo “Piani Strategici Metropolitani”. Quali gli obiettivi e le aspettative? E, come state lavorando?
Il Tavolo nasce dall’esigenza di ripensare e valorizzare lo strumento di pianificazione strategica, così come conosciuto in passato, nella nuova forma giuridica di atto amministrativo e di funzione fondamentale dell’Ente Città Metropolitana.

Quali sono le differenze tra i due strumenti?
La legge, normando la pianificazione strategica, ha cambiato in maniera sostanziale la natura e le caratteristiche dello strumento tradizionale. Il Piano Strategico nasceva infatti da un atto volontario cui amministrazioni locali e rappresentanze di interessi aderivano e nel quale il processo partecipativo era essenziale per condividere una serie di progetti che i vari soggetti volontariamente si impegnavano poi a realizzare. Oggi il Piano Strategico delle Città Metropolitane è un atto obbligatorio, di indirizzo, un atto quindi di government e non più solo di governance. Il Piano Strategico normato rischia di tornare a essere “ostacolo” di procedure, modalità, tempi e soggetti dei processi decisionali predefiniti e dati. Inoltre, esso si colloca in una dimensione territoriale ben precisa, quella metropolitana appunto. Il rischio è di interpretare i confini metropolitani con i confini di intervento della pianificazione strategica. I Piani Strategici del passato, pur essendo strumenti il più delle volte in mano alle amministrazioni comunali, sono serviti proprio ad allargare gli orizzonti territoriali, anche attraverso il coinvolgimento di attori istituzionali e non, extra e sovra locali, superando così uno dei più grossi limiti degli strumenti di programmazione tradizionale. Riuscire a mantenere l’azione politica di costruzione del consenso e assunzione di responsablità su priorità strategiche selezionate e condivise, così come mantenere la dimensione della policy di area vasta al centro della programmazione territoriale sono a mio avviso le sfide più importanti da affrontare nell’avviare i processi di pianificazione strategica metropolitana. Questo dipenderà fortemente dalla capacità delle Città Metropolitane di connotare i Piani Strategici Metropolitani (PSM) in questo senso, pur nella loro nuova configurazione giuridica.

E’ per questo che avete avviato il Tavolo?
Esatto, ad aprile dello scorso anno, a pochi mesi dall’istituzione delle principali Città Metropolitane, ho proposto di avviare in ANCI un lavoro di analisi dello strumento, con un percorso di incontri tematici che sta portando operatori di tutte le 14 Città Metropolitane (comprese quelle non ancora istituite) a confrontarsi e riflettere, anche con l’aiuto di esperti, su tutte le dimensioni del Piano Strategico: la natura giuridico-amministrativa e quella territoriale, gli aspetti procedimentali e i modelli di governance, i contenuti, il metodo e il processo, le risorse economiche e le nuove competenze metropolitane.
L’obiettivo è quello di condividere il significato e la portata del PSM come strumento di promozione delle Città Metropolitane quali effettivi motori di sviluppo e innovazione per il Paese e di condividere un metodo e uno stile di governo che possano servire ad allineare le priorità metropolitane in una Strategia Paese che parta dalle Città Metropolitane. Il Tavolo rappresenta anche un importante momento formativo per gli amministratori metropolitani che per la prima volta si avvicinano alla pianificazione strategica (soprattutto il personale proveniente dalla ex amministrazione provinciale, senza una esperienza specifica e conoscenza teorica e pratica sull’argomento). Fornisce indicazioni, orientamenti, elementi conoscitivi e operativi per gestire tali processi, mette a confronto i percorsi in atto e svolge un monitoraggio in itinere sullo stato di avanzamento, molto utile ad avere in questo momento di costruzione dei nuovi enti metropolitani e di evoluzione dello strumento del Piano Strategico una fotografia completa e aggiornata della PSM in Italia.

Quali sono le opportunità del Piano Strategico Triennale per le Città Metropolitane (PSM) in Italia?
Il PSM rappresenta una grande opportunità per le Città Metropolitane se queste saranno capaci di coniugare in maniera intelligente l’azione di governance con l’azione di government. I rischi non derivano dallo strumento in sé, ma dalla capacità di utilizzarlo. La nuova natura normata del Piano Strategico a mio avviso rafforza la capacità di sostenere le strategie e gli obiettivi nel tempo e di implementare il Piano. I Piani Strategici del passato non riuscivano spesso a trovare declinazione operativa negli strumenti di programmazione e nelle politiche ordinarie. Con un Piano Strategico necessariamente più strutturato mi aspetto che questo limite possa superarsi. Ma andiamo per ordine. Intanto è necessaria una premessa. Cos’è la Città Metropolitana? Al di là degli aspetti istituzionali, la Città Metropolitana è soprattutto l’occasione per creare un modo nuovo e diverso di governare il territorio. La governance metropolitana dell’intero sistema di relazioni e interazioni, di soggetti e reti a geometria variabile, di flussi e dinamiche, è a mio avviso la principale innovazione istituzionale della Città Metropolitana, poiché permetterà a questa di organizzarsi e poter agire come attore collettivo in uno scenario locale, nazionale e internazionale. Questo evidentemente non può essere affidato solo alla capacità giuridico-amministrativa di regole e procedure, ma soprattutto alla capacità di far interagire i Comuni e gli attori metropolitani, in un percorso virtuoso di condivisione di obiettivi, strategie, politiche (e perfino di un linguaggio comune) e di costruzione di alleanze operative. Le politiche metropolitane, in altri termini, dovranno emergere sempre più da una reale concertazione tra Comuni, e tra questi e il territorio, per aumentarne la credibilità e la forza (anche contrattuale con Regione e Governo centrale). È qui che interviene il valore della pianificazione strategica quale collante politico-culturale di una Città Metropolitana e dei suoi soggetti tutti, istituzionali e non, intorno alla costruzione di una visione di sviluppo. E vorrei aggiungere che la pianificazione strategica rappresenta oggi, nel quadro di debolezze strutturali che caratterizzano la Città Metropolitana (assenza di suffragio universale, di nuove risorse, di fiscalità propria, gratuità delle cariche, funzioni e competenze ancora non definite, disciplina urbanistica frammentata, ecc.), uno dei pochi strumenti per tentare concrete innovazioni.

Il Piano Strategico Metropolitano può dunque offrire opportunità analoghe a quelle dei Piani Strategici finora sperimentati in Italia?
Esattamente. E vorrei qui sintetizzarle. Il PSM è l’occasione per costruire un “Patto del territorio”, intorno alla definizione di un Disegno di Città, in cui ciascun attore metropolitano si possa riconoscere e possa assumervi responsabilità e impegni precisi per realizzarlo. E’ poi l’occasione per costruire il carattere identitario della Città Metropolitana; è l’occasione per esplicitare una visione urbana del nostro Paese in Europa, allineandoci ai grandi temi su cui le città metropolitane europee stanno investendo, costruendo anche una piattaforma di relazioni con queste città; è l’occasione per costruire un quadro unitario di riferimento su cui integrare la programmazione metropolitana.

A cosa si riferisce?
Mi riferisco alla prospettiva nel tempo di muovere verso un’unica disciplina urbanistica su tutto il territorio (un solo Piano Strutturale e un unico Regolamento Comunale) e all’affidamento alla Città Metropolitana di una competenza specifica per gli interventi di natura metropolitana, nella logica non solo di regolare le azioni dei soggetti privati, ma soprattutto di stimolare lo sviluppo e indicare visioni e mete collettive condivise.

E nel quadro del sistema Paese?
Il Piano Strategico è l’occasione per costruire una strategia competitiva per il Paese: 14 PSM, se integrati in maniera intelligente e se inseriti in un quadro chiaro di priorità nazionali e di fondi disponibili, rappresentano a tutti gli effetti un’agenda urbana per l’Italia. Infine, è l’occasione, come dicevo all’inizio, per avviare un percorso formativo di amministratori e stakeholder con il compito delicato di cambiare lo stile di governo, l’atteggiamento del pubblico e del privato di fronte alle scelte del territorio, i meccanismi di interazione e le procedure (di partecipazione, di cooperazione ma anche di comunicazione e informazione e di valutazione e monitoraggio delle politiche urbane, tutti elementi che rafforzano la governance metropolitana e il raccordo del territorio).

Venendo ai casi specifici, quali sono le peculiarità, singolarità e differenze delle esperienze di pianificazione strategica delle Città Metropolitane in corso in Italia?
Per il momento la principale differenza  riguarda le Città che non hanno avuto esperienza di pianificazione strategica in passato rispetto a quelle che hanno già sperimentato lo strumento (Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Messina, Napoli, Torino, Venezia), dove si rileva una diffusa e forte consapevolezza sulla materia, così come una interpretazione sufficientemente univoca dello strumento. In generale le città “più consapevoli” sembrano porre maggiore attenzione agli aspetti della governance territoriale e di policy metropolitana, anche nel superare alcuni rischi interpretativi della Legge (vedi la prospettiva temporale di tre anni del PSM, ma anche l’assenza totale di indicazioni sui meccanismi partecipativi rimandando per questo ai singoli statuti metropolitani). Le città con meno dimestichezza, invece sembrano concentrarsi su aspetti più formali: la dimensione territoriale, ad esempio, per cui appare centrale capire come pianificare in modo omogeneo un’area spesso disomogenea e la definizione in zone omogenee quali unità di riferimento territoriale sembra essere la soluzione più adeguata per impostare il processo di pianificazione. Personalmente non credo questa sia la soluzione al problema, soprattutto se si parte dal presupposto che la pianificazione strategica dovrà definire un quadro di riferimento di strategie e obiettivi di sviluppo territoriale e grandi azioni di intervento che, nella maggior parte dei casi vanno ben oltre i confini amministrativi della Città Metropolitana. Tutte le città, invece, sentono la necessità di maggiore chiarezza rispetto alla collocazione della PSM nella cornice complessiva della strumentazione della Città Metropolitana (in particolare nel rapporto tra Piano Strategico e Piano Territoriale Metropolitano), rispetto alla programmazione dei Comuni ad essa appartenenti, così come degli enti sovra locali (in primis la Regione). Proponendo, da un lato, Statuti più regolativi della materia (con una definizione puntuale del significato della PSM, con l’individuazione di sedi e meccanismi per la cooperazione inter-comunale e inter-istituzionale e per la consultazione del territorio), sollecitando dall’altro un maggiore adeguamento della legislazione regionale a proposito (a partire da una ripartizione di materie e competenze più adeguate alle funzioni metropolitane). Ad ogni modo tutte le Città Metropolitane hanno avviato la riflessione e impostato un metodo di lavoro. Stanno organizzando la struttura politica e tecnica a cui affidare la redazione e l’implementazione del PSM, alcune (Cagliari e Messina) sono impegnate nella predisposizione dell’analisi degli scenari territoriali quale passo preliminare, qualcuna (Bologna e Genova) ha già realizzato un primo percorso di ascolto del territorio, e molte stanno redigendo un primo documento di linee guida (Torino, Genova, Milano, Firenze, Bologna)  su cui avviare il percorso di pianificazione in senso stretto (di coinvolgimento degli attori metropoltiani).
Un aspetto a mio avviso molto importante che sta emergendo è che in quasi tutti i casi il PSM viene interpretato come atto di indirizzo e di inquadramento per l’intera azione metropolitana, ma anche come luogo in cui individuare e definire, coerentemente alla visione e strategie di sviluppo della Città Metropolitana, le grandi azioni di intervento prioritario in una dimensione temporale di medio-lungo periodo. Questo sembrerebbe evitare il rischio che il PSM, così come caratterizzato dalla Legge nazionale, rimanga un mero atto di indirizzo.

E Torino?
Venendo alla vostra esperienza, Torino è un caso di eccellenza di pianificazione strategica in Italia perché è stata in grado di sostenere e accompagnare per quasi un ventennio la riconversione di un modello di città: dalla tradizionale “città della Fiat e dell’industria” alla “città della cultura e del turismo”, alla “città  dell’innovazione tecnologica, della formazione e della ricerca”. Il Piano Strategico è stato un elemento chiave del processo di rilancio, poiché è riuscito a “fare sistema”, consolidando modalità innovative dell’azione pubblica con pratiche di governance inclusiva che hanno mobilitato partnership territoriali dinamiche e costruito un partenariato economico sociale e istituzionale non solo di soggetti locali, ma nazionali e internazionali. Questo ha facilitato grandemente la riuscita di politiche e cambiamenti strutturali su nuovi assi di sviluppo. E’ stata un’esperienza fortemente positiva e, l’unica in Italia, condotta davvero con successo. Adesso, l’istituzione della Città Metropolitana rende ancora più fondamentale l’esistenza di una governance forte e allargata in grado di intercettare e dare risposta a bisogni e aspettative di un territorio caratterizzato tra l’altro da forte disomogeneità. Si tratta dunque di un’esperienza che non è solo da valorizzare, ma che dovrebbe essere il punto di partenza da cui avviare il nuovo percorso di panificazione della Città Metropolitana adattandolo alla sua nuova configurazione.

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